Salve chef! Sono davvero onorato di poterla intervistare, le va di descriversi in poche righe?
Piacere mio e grazie per l’attenzione. In breve, posso definirmi una persona curiosa, caparbia, sensibile, creativa ed appassionata al proprio lavoro.
Da più di vent’anni è lo Chef de “La Pergola”, il ristorante con 3 Stelle Michelin (unico a Roma).
Cosa rappresenta per lei?
Roma é casa. La Pergola é il mio riferimento quotidiano, così come al ritorno da ogni viaggio, il punto nevralgico da cui tutto é iniziato, ormai 25 anni fa.
Approfitto di questo anniversario importante per ringraziare ancora una volta la Proprietà, che ha creduto in me fin dall’inizio e con cui ho un rapporto bellissimo di stima reciproca.
Quali sono le figure (non necessariamente chef) dalle quali ha tratto ispirazione durante il suo percorso professionale?
Sono sempre stato affascinato dall’arte in tutte le sue declinazioni.. come racconto spesso, questo é stato uno dei motivi per cui ho scelto una professione in cui potessi esprimere la mia creatività. Traggo ispirazione dalla realtà che mi circonda e dalle emozioni che ne scaturiscono; tra gli artisti, amo le opere di Mondrian, Cézanne e Modigliani.
Lei è uno dei più importanti esponenti dell’alta gastronomia internazionale.
Quali sono i piatti più rappresentativi della sua cucina?
Domanda difficile.. in tutti questi anni le creazioni son state e sono ancora tante. Lavoro moltissimo sulla stagionalità degli ingredienti, quindi anche nei menù dei miei ristoranti i piatti cambiano in base alla disponibilità delle materie prime.
Tra i piatti più richiesti dai nostri Ospiti e dunque che possiamo considerare rappresentativi de “La Pergola”, menzionerei i Fagottelli, il Fiore di zucca in pastella, la sfera ghiacciata e, tra le ultime creazioni, il Cuore di lattuga affogato ad alta pressione ai profumi di gallina ruspante e Rombo con asparagi e codium.
Veniamo al rapporto tra cibo e immagine. Sappiamo che anche l’occhio vuole la sua parte. Quanto reputa importante coordinare i colori e decorare i piatti perché gli stessi possano definirsi perfettamente riusciti?
Questo é un aspetto fondamentale del nostro lavoro e richiede grande meticolosità.
Se già al primo impatto, ossia visivo, il piatto ci soddisfa ed emoziona, significa che siamo riusciti a creare armonia tra colori, forme e spazi. Ovviamente il piatto dovrà mantenere anche le altre sue promesse, ossia un aroma ed un sapore all’altezza delle aspettative, ma l’estetica in primis deve essere attrente ed elegante.
Le sarà sicuramente capitato di lavorare con un food photographer. Quanto conta la sintonia tra chef e food photographer per comunicare adeguatamente l’immagine di un piatto?
La sintonia é importantissima. Io e Janez (Puksic, con cui collaboro da più di vent’anni) ogni volta, prima degli shooting, ci sediamo per decidere e condividere la vision di ciò che vogliamo trasmettere attraverso le foto, facciamo qualche scatto di prova per vedere se il risultato é in linea con le nostre idee e così ci coordiniamo, piatto dopo piatto.
Ci sono dei piatti in particolare che preferisce vengano fotografati rispetto ad altri?
In linea di massima, non ho preferenze.
Dipende comunque molto dal concept su cui devo lavorare in quel momento.
Che impatto hanno (o hanno avuto) internet, e in particolare i social, nella tua carriera?
La moderna tecnologia aiuta molto: senza il web, ad esempio, non potrei seguire le preparazioni in diretta streaming nel mio ristorante di Tokyo o seguire in tempo reale l’andamento degli altri locali.
Riguardo i social network, sicuramente hanno contribuito ad aumentare la visibilità degli Chef ed é apprezzabile che rendano più accessibili al pubblico i piatti che noi creiamo dando modo di soddisfare, tra le altre, le curiosità di chi ci segue sulle tecniche impiegate per realizzarli e sulle materie prime utilizzate.
In che misura il termine “tradizione ” si coniuga con il lavoro di uno chef?
La tradizione non può mai mancare; é la base da cui partire per dare vita a nuovi scenari e creare nuovi piatti. Senza tradizione, senza il suo studio, non c’è innovazione.
Sta a noi Chef trovare il giusto equilibrio tra creatività e basi storiche di un piatto.